“La comunità è come una grande piscina dove arriva chi non sa nuotare ma pensava di saperlo fare”.
Angelo Tarulli è il responsabile del centro di Spello del Cast Assisi Onlus che può ospitare fino 30 persone di cui 18 per il servizio di accoglienza diagnostico residenziale e 12 per il servizio terapeutico riabilitativo residenziale. Inizia da qui il nostro viaggio alla scoperta delle persone e dei servizi delle nostre comunità.
Da quanto tempo lavora al Cast Assisi Onlus?
“E’ da 26 anni che lavoro nell’accoglienza. Avevo 27 anni quando ho fatto il corso per operatore di comunità e quindi sono entrato nell’equipe qui a Spello prima come operatore, poi come aiuto responsabile e quindi responsabile. Nel ’92 c’era già la comunità di San Gregorio e questo era il secondo centro dell’associazione. Era una vecchia porcilaia, non c’era niente e insieme ai ragazzi che erano ospiti l’abbiamo rimessa a posto facendola diventare la struttura che è oggi”.
Quante persone lavorano nella struttura di Spello e come è composta la squadra che si occupa degli ospiti?
“La nostra è un’equipe multidisciplinare composta da sette operatori: due psicologhe Alessia Marchetti e Francesca Cirella, due operatori socio sanitari Stefano Soravia e Riccardo Crecco, un’assistente sociale Marica Stocchi, un’educatrice Micaela Manara e una tirocinante Claudia Chiucchiu. Qui nell’accoglienza a Spello è presente pure una psichiatra, Giorgia Babbini, malgrado la legge non imponga l’obbligo di avere in team tale figura professionale ma noi lo riteniamo importante vista la crescente richiesta di doppia diagnosi e necessaria perché ci aiuta in una valutazione diagnostica iniziale”.
Il centro di Spello è la prima tappa del percorso che devono affrontare gli ospiti del Cast Onlus. Cosa avviene qui?
“Le persone arrivano qui inviate dai Sert di tutta Italia con i quali collaboriamo. Qui a Spello c’è il primo contatto con un colloquio preliminare per conoscere i ragazzi, la famiglia e la situazione generale. A loro, quando necessario, mettiamo a disposizione un appartamento in sede per dar modo di conoscere la struttura e di assistere il proprio figlio nei primi giorni in comunità. Il colloquio-osservazione dura tre giorni. Il contributo da parte della famiglia per noi è molto importante perché spesso tendono a delegare e invece anche loro devono essere coinvolti e responsabili del percorso. I ragazzi arrivano qui per mille motivi e spesso la tossicodipendenza è solo la punta dell’iceberg che amplifica tutto. Qui devono rafforzare le loro motivazioni e la consapevolezza delle fragilità che li hanno portati alla tossicodipendenza. A volte la cosa più difficile da fargli capire è che questo non è l’ennesimo tentativo ma la risalita della loro vita. Non si viene qui soltanto per smettere di fare uso di sostanze stupefacenti, un obiettivo che si può raggiungere già in 15-30 giorni, ma per acquisire la consapevolezza di dover fare un lavoro su sé stessi. Un percorso che può durare anche 18-24 mesi”.
Dopo il colloquio che cosa succede?
“Il primo obiettivo è quello di normalizzare le loro giornate, a partire dai tempi e dagli orari, e responsabilizzarli coinvolgendoli nelle attività della struttura. Un esempio che faccio spesso è quello di chi non sa nuotare ma pensa di saperlo fare. Cosa fa? Sbraccia e schizza dappertutto, è pericoloso per sé stesso e per gli altri ai quali da fastidio. E per questo viene allontanato. Quando si ha la consapevolezza che in realtà non si sta nuotando subentra la necessità di dover andare in piscina, si capisce che il problema non è esterno, non è l’altro ma sono io. In comunità come in piscina, dunque, si devono disimparare i movimenti sbagliati e reimparare quelli giusti, usando la tavoletta salvagente fin quando serve per poi toglierla”.
Come è la giornata tipo nella struttura di Spello?
“La giornata è organizzata attraverso un lavoro ergoterapico. I ragazzi si occupano di mantenere la struttura e i vari settori che hanno un significato oltre che lavorativo anche terapeutico. Questo li aiuta non solo ad impegnare il loro tempo e quindi a rendersi utili per sé stessi e per gli altri ma anche a imparare a responsabilizzarsi e organizzarsi la giornata. La sveglia è alle 7 o anche prima per chi è addetto alla preparazione della colazione prevista alle 7.30, alle 8,30 ci si riunisce tutti in gruppo per l’incontro del mattino in cui ci si danno gli obiettivi della giornata e ci si confronta sui problemi emersi il giorno precedente. Poi, dopo un momento di alleggerimento nel quale gli ospiti possono parlare, confrontarsi, leggere, ognuno si reca nel settore che gli è stato assegnato, dalla cucina al forno, dalla lavanderia alla gestione degli animali fino alla manutenzione e alle pulizie. Settori nei quali l’organizzazione è rigorosamente gerarchica. Alle 17 generalmente è prevista la fine dei lavori salvo per chi è impegnato in cucina per la preparazione della cena. Dal lunedì al venerdì poi ci sono gruppi terapeutici mentre gli ospiti possono ricevere la visita dei familiari una volta ogni 15 giorni”.
Come è cambiato in questi anni il ruolo delle comunità di recupero e cosa caratterizza il lavoro svolto dal Cast Onlus?
“Da quando ho cominciato a lavorare qui c’è stato un cambiamento enorme, in meglio, del ruolo delle comunità. All’epoca avevano il “monopolio” della salvezza dei tossicodipendenti, in realtà era tutto standardizzato. Con il passare del tempo e con l’evolversi di diverse situazioni il ruolo delle comunità ha assunto un valore terapeutico importante. Oggi non si lavora più da soli, la nostra equipe multidisciplinare opera in stretta collaborazione con i Sert invianti e il lavoro è mirato al recupero della persona nella sua interezza e non soltanto a risolvere il problema dell’abuso di droga. In questo senso l’approccio in team che si ha qui al Cast è determinante per la valutazione della persona e del suo percorso terapeutico come fondamentale è la costante formazione alla quale vengono sottoposti tutti gli operatori dei nostri centri”.